Per me le cose sono due 24 Luglio 2023
Il carico mentale è donna: non si tratta di stereotipi ma di un peso che influisce praticamente sul gender gap. Una zavorra che le donne si caricano sulle spalle. Come fare per liberarsene?
a cura di Fabiola Noris
Mascherato sotto le mentite spoglie del multitasking, celebrato come la trasposizione figurata della dea Kali, lo chiamano lavoro di cura, si legge carico mentale.
E no, non è una questione che ci riguarda solo se siamo madri. Avere un compagno, avere dei genitori o dei parenti stretti di cui prendersi cura rientra in questa categoria di attività che, per quanto sia definito lavoro, non è retribuito. Non solo, se avremo la fortuna di raggiungere la 4° età potremmo diventare il lavoro di cura, e di conseguenza il carico mentale, di qualcun altro.
Insomma, il lavoro di cura è attorno a noi e anche se cerchiamo di respingerlo, ridurlo, allontanarlo, la verità è che si tratta di qualcosa che ci si appiccica fin dalla più tenera età per il semplice fatto di essere nate femmine.
È fatto della stessa pasta del fantasma che perseguita Virginia Wolf, a cui lei dà un nome, Angelo del focolare, una presenza subdola che le impedisce di lavorare e le si insinua nella mente. Cosa fa Virginia per poter lavorare? Lo uccide per legittima difesa. Una fine funesta per l’Angelo del focolare ma che ci dice quanto sia impegnativo fare la lotta con questo seme instillato nei secoli per cui se sei donna certe cose ti vengono naturalmente bene.
Non è solo qualcosa che ci raccontiamo: i dati parlano chiaro, il lavoro di cura è donna.
Di nuovo siamo più portate alla cura, all’empatia, all’ascolto dei bisogni altrui.
“In Italia, le donne svolgono 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno mentre gli uomini un’ora e 48 minuti. Le donne quindi, si fanno carico del 74% del totale delle ore di lavoro non retribuito di assistenza e cura.” (fonte ilo.org)
Praticamente un part-time senza possibilità di interruzione.
Sì, è vero: il lavoro di cura fa sentire il suo peso soprattutto alle donne che diventano madri. I primi mesi sono i più difficili, tant’è che nel 2020, dei 42mila licenziamenti tra neo genitori, il 77 per cento è a danno di neo mamme che decidono di lasciare il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla cura dei figli provate da un lavoro di equilibrismo. Perché sarà anche tutto un equilibrio sopra la follia, ma tolta la poesia della citazione, rimane la fatica, fisica e mentale, di arrivare a sera.
Francesca Bubba sta portando avanti la campagna Genitore è lavoro affinché l’atto di cura e di accudimento genitoriale venga riconosciuto come un vero e proprio lavoro, con tanto di indennità da privazione del sonno. Insieme al team di economiste e legali, Bubba ha fatto una stima di quanto valga il lavoro di cura e domestico: 6.971 euro al mese.
Mica bruscolini.
Il lavoro di cura si trasforma ben presto in un fardello da portare quotidianamente che ti fa arrivare a sera distrutta e che ha un nome, carico mentale. Lo racconta per la prima volta in maniera ironica ma con un’aderenza certosina alla realtà Emma Clit, ingegnera di giorno, fumettista nelle ore che le rimangono a disposizione, nel libro
Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano.
Come fare dunque per liberarsi del carico mentale?
Annalisa Monfreda ci ha scritto un libro invece di divorziare. Certo è che scardinare meccanismi richiede mettersi in uno stato di allerta continua per evitare di ricascarci alla prossima necessità famigliare e trasformarsi da angelo del focolare di vittoriana memoria in una moderna dea Kali, negoziatrice spietata pronta a ridiscutere costantemente la suddivisione dei compiti.
Del resto lo dice anche Emma, Bastava chiedere!
E allora facciamolo.
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