Le nostre relazioni, il nostro sviluppo 15 Dicembre 2022
Le nostre relazioni formano la nostra mente. E ci permettono di ritrovarci. L'editoriale di Manuela Comoglio ci ricorda l'importanza di ritrovarsi nell'altro, tra un sorso di tisana e l'altro.
editoriale di Piano C a cura di Manuela Comoglio - Parental e Business coach
R-e-l-a-z-i-o-n-i: il senso
Mi si accendono all’istante centinaia di idee in testa e si legano in decine di possibili direzioni di senso.
Mi fermo. Respiro.
E quasi in automatico mi domando cosa questa parola faccia balenare in testa alle persone con cui mi relaziono ogni giorno. Così prendo il telefono e glielo domando.
Le risposte compaiono sullo schermo come popcorn poco sincronizzati.
Dopo qualche ora riordino le risposte. Ci sono due schieramenti prevalenti. Quelli che propendono per le relazioni affettive (amorose, amicali, familiari). Quelli che vi associano l’immagine della rete, di una trama di connessioni.
Mi appunto le parole che mi colpiscono di più: sintonia, legami, sesso, alterità, contatto, impegno, visione doppia, ricchezza.
Poi incontro Giulia, mia amica e socia. Davanti a un caffè d’orzo bollente le chiedo cosa siano per lei le relazioni. In un attimo mi risponde con un grande sorriso: “vita”.
Siamo (anche) le nostre relazioni
Quella parola mi risuona dentro, si allarga, mi illumina. Sono d’accordo con lei! Le relazioni sono vita.
Le relazioni ci rendono chi siamo. È attraverso di loro che possiamo non solo sopravvivere, ma evolvere.
Penso al bellissimo saggio di Sarah Blaffer Hrdy Mothers and Others. Più di un milione di anni fa un gruppo di ominidi iniziò ad allevare i propri piccoli in modo diverso dagli altri primati. Per gestire la crescita dei loro bambini – estremamente indifesi e molto “costosi” nelle loro richieste di cure e risorse – le femmine umane ricorsero all’aiuto degli altri individui, scegliendoli anche al di fuori della cerchia dei loro consanguinei. E, in ogni caso, assicurandosi sempre che fossero affidabili.
Secondo la Hrdy, é da questa necessità di condividere le cure infantili che è cresciuta e si è sviluppata la capacità umana di capirsi l’un l’altro. Di comprendere la mente altrui, le sue intenzioni e ciò di cui è consapevole. In quest’ottica, la nostra abilità di entrare in empatia, di comunicare e di sviluppare relazioni complesse è stata vitale per la sopravvivenza della specie.
Mentre scrivo sorrido.
Penso alle nostre antenate e a come pure l’evoluzione umana sembri dipendere dalla capacità di noi donne di concepire e organizzare il nostro ruolo per soddisfare le esigenze di un mondo in continuo cambiamento.
Ho bisogno di una pausa.
La nostra “mente relazionale”
Mentre scaldo l’acqua per una tisana la mia riflessione si muove dalla filogenesi (l’evoluzione della specie) all’ontogenesi (il ciclo vitale di un individuo).
Il nostro sviluppo e la nostra personalità sono fortemente influenzati dalle relazioni di cui facciamo esperienza, in primis da quelle con i nostri genitori.
Già un secolo fa Vygotskij e la Scuola Storico-culturale sostenevano che lo sviluppo della coscienza umana e i processi psichici superiori (pensiero, memoria, linguaggio) dipendessero da fattori socio-culturali. Cioè, che lo sviluppo cognitivo di ciascuno di noi sia essenzialmente frutto delle nostre esperienze e relazioni con gli altri.
Oggi, grazie alle scoperte portate avanti dalle neuroscienze, siamo in grado di approfondire l’intricato rapporto che lega la mente, il cervello e le relazioni interpersonali e ciò che emerge è davvero affascinante.
Secondo Daniel Siegel, fondatore della neurobiologia interpersonale, la nostra è una “mente relazionale”. Questo significa che noi, non solo plasmiamo chi siamo in rapporto agli altri, ma che la nostra stessa consapevolezza e autocoscienza sono facoltà che nascono grazie alle nostre relazioni. Guardando il viso di un’altra persona e i suoi segnali non verbali, ascoltando l’intonazione della sua voce, siamo in grado di costruire dentro di noi una mappa mentale della sua mente. Possiamo capire “cosa le passa per la testa” prima ancora di aver capito di avere anche noi una mente.
È questo quello che accade fin dalla nascita ai bambini guardando i loro genitori.
Solo successivamente siamo in grado di utilizzare gli stessi processi cerebrali che ci hanno permesso di mappare la mente altrui per fare altrettanto con la nostra e sviluppare, in questo modo, la consapevolezza della nostra vita interiore e di quella degli altri.
Ritrovarsi nell’altro
Prendo coscienza di me perché mi vedo nell’altro e attraverso l’altro. Come in uno strano gioco di specchi. Strano perché funziona quasi come una mise en abyme: è un riflesso che mi sottrae alla percezione automatica che ho di me, stimolando invece una visione conscia che mi rende consapevole del fatto stesso di percepire (e, quindi, di come funziono).
Se è vero che il vedere l’altro mi permette di vedermi, è altrettanto vero che l’entrarci in relazione non si limita a questo. Più che di riflesso, mi verrebbe di parlare di risonanza. Perché il creare un legame con te che sei qualcosa di esterno a me, mi permette di ritrovarmi, ma anche di amplificare ciò che sono, facendo esperienza del tuo modo di vivere e vedere il mondo. Integrandoli nel mio.
I miei sensi mi permettono di cogliere i tuoi segnali emotivi. Il mio sistema di neuroni specchio di simulare il tuo vissuto, facendolo risuonare nel mio corpo. La consapevolezza del mio mondo interiore mi consente di entrare in sintonia con il tuo. E quello che viene a crearsi tra di noi è un processo che aiuta lo sviluppo di entrambi, che promuove una maggiore varietà di pensiero ed emozioni. E, attraverso questa varietà, ci permette di creare un modo sempre più armonico di funzionare.
La tisana si sta raffreddando. Mi fermo e ne bevo un sorso.
La prospettiva che aprono gli studi di Siegel e delle neuroscienze relazionali mi fa capire che le relazioni, oltre a essere vitali, hanno un potere di impatto più grande.
Dal loro valore e complessità dipendono la nostra salute mentale e il nostro benessere.
In sintesi: la qualità della nostra vita.
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