Che storia! Sonia Zahirpour 11 Novembre 2022
In un suo scritto, José Saramago si chiedeva come possiamo noi oggi essere “persiani”, diversi, “altri”, quando il mondo cerca di convincerci che la cosa più desiderabile è la conformità. È la domanda da cui parte la nostra intervista a Sonia Zahirpour, artista orafa che di persiano ha le origini, e di diverso lo sguardo.
a cura di Lucilla Tempesti
Persia, non Iran: è così che il padre di Sonia chiama il suo paese d’origine. Preferisce evocarne la bellezza, i fasti, la storia millenaria. Vive la sua giovinezza all’epoca dell’ultimo scià di Persia; sono anni tutto sommato di apertura: le donne si vestono all’occidentale, vengono introdotti il suffragio femminile e il divorzio, inizia la modernizzazione.
Eppure la sua famiglia sceglie di trasferirsi: fa parte della minoranza ebrea, il loro posto è altrove, negli Stati Uniti per alcuni, in Italia per altri. In Puglia, invece, nasce la mamma di Sonia, di religione cristiana. Il loro incontro avviene a Milano, dove entrambi oramai adulti hanno iniziato la loro attività imprenditoriale: nell’arte dei tappeti orientali il padre, parrucchiera la madre.
“Il disegno era la mia parola”
Sonia cresce in questo incontro di culture e religioni; vive la sua infanzia sui fogli: osserva, rielabora, dà nuova forma. Bambina timida, si esprime con i disegni, che diventano la sua principale forma espressiva. Sente di aver trovato il suo linguaggio; sulla carta riesce a unire mondi diversi, a esprimersi liberamente.
Ma come spesso accade, il suo mondo si piega alla conformità: diventa piccolo, ordinario. Sceglie il liceo artistico, frequenta quello classico. Sogna Brera, si laurea in Giurisprudenza. Finisce con l’indossare bei completi, che non sente suoi.
Cambiar vita in tribunale
Un giorno Sonia si ritrova seduta sui gradini del tribunale; il suo cliente e gli altri avvocati sono dentro, lei è uscita, aveva bisogno di aria. È frustrata: continua a pensare che non è nel posto giusto.
Mette la mano nella tasca dei pantaloni di marca, e tira fuori un pezzetto di filo di rame che non ricordava di avere.
“Ho annodato al dito quel filo di rame, un raggio di sole lo ha illuminato:
ci ho visto un anello bellissimo, e in quell’istante ho capito.”
Da avvocata a orafa
La sera stessa si precipita dal primo ferramenta che trova e compra bobine di metalli di tutti i tipi.
Inizia a sperimentare: trova dei lavori per mantenersi di giorno, e frequenta corsi la sera. Ritrova il desiderio di esprimersi con l’arte; impara l’affresco e le tecniche orafe. Grazie al compagno di quegli anni si avvicina alla meditazione e inizia a viaggiare. Insieme aprono un laboratorio artigiano e si dedicano alla decorazione d’interni.
Intanto Sonia coltiva il suo progetto professionale creando una piccola linea di gioielli.
“È stato meraviglioso immergermi in un settore
che mi corrispondeva: finalmente parlavo la mia lingua.”
Imparare è un movimento
La relazione a un certo punto finisce, e Sonia deve ripensare la sua attività; tra le diverse linee di lavoro, sceglie quella che le consente di operare in autonomia, senza bisogno di altri. Non più dunque pesanti secchi di pittura in giro per il nord Italia ma un lavoro, sempre manuale, alla sua portata.
“Il gioiello era la strada: un progetto a mia misura.”
La sua formazione continua man mano che nuove intuizioni e sfide si palesano. Le è cara questa frase di Jiddu Krishnamurti: “Imparare è un movimento da un istante a un altro”.
Come un seme di loto
Non si tratta solo di tecnica, però: dietro il gioiello per Sonia c’è sempre qualcos’altro. Lei considera la natura la sua principale fonte di ispirazione e, come da piccola, osserva, rielabora, dà nuova forma.
Una sua cara amica le chiede un gioiello che possa accompagnare oggi le persone in un periodo storico così confuso. Sonia studia ma non arriva a nessuna soluzione. Poi viene colpita dal frutto del fior di loto, che in effetti ha una forma molto simile a un vecchio soffione di doccia. Si tratta di un ingegnoso e buffo modo della natura per proteggere i semi di loto. Scopre di questi semi la straordinaria longevità: riescono a germogliare a secoli di distanza.
Ecco un nuovo simbolo che è venuto alla luce.
“I semi del fiore di loto riescono a rimanere vivi per centinaia di anni.
Mi è parso un messaggio potente per tutti noi: il seme c’è,
se creiamo un terreno fertile al momento giusto germoglierà.”
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