Curiosità. Traboccare d’amore per l’altrove. 13 Novembre 2023
La curiosità è un istinto naturale che ogni persona possiede e può, anzi deve, agire. Ma qualcosa si è rotto, ne abbiamo perso l'essenza, come fare per ripararla? Massimo Temporelli lo fa, sfoderando dalla sua cassetta degli attrezzi Calvino e la biologia.
editoriale per Piano C a cura di Massimo Temporelli - TheFabLab president and co-founder
La curiosità può essere un tema tanto affascinante quanto banale, il rischio di scivolare nell’ovvio e nell’attraente cantilena degli slogan è davvero molto alto.
Be curious! Be curious! Explore! Explore! Be curious!
Mi suonano così vuote queste parole, così fastidiosi questi slogan. Non perchè lo siano, tutt’altro, ma piuttosto perchè abbiamo usato la parola “curiosità” così tanto e così tanto a sproposito che, come una suola, l’abbiamo consumata, a tal punto che, a ben guardarla e utilizzandola, sembra non fare più presa sul terreno, manca di grip, e quando camminiamo per capire il mondo, quello fuori e dentro di noi, questa parola non ci aiuta più e se la usiamo, se proviamo a usarla, scivoliamo, slittiamo e restiamo fermi dove siamo, senza avanzare di un centimetro. Senza capire davvero il mondo.
Ecco, ora ho un’immagine per rappresentare il senso di questo articolo: queste pagine sono un ciabattino, un umile calzolaio di quartiere, che proverà a sistemare questa antica e consumata parola, riparandola, affinché torni ad essere utile a tutti noi e ci faccia camminare meglio per il mondo.
Fatemi prendere gli attrezzi dal retro bottega. Mi serve una dima, un riferimento, mi serve un po’ di Calvino, un Calvino meno noto, quello del libro “Ti con Zero”. In questo bellissimo libro, Calvino parla della duplicazione cellulare, parla della nostra biologia. E con geniale maestria prova a immaginare il perché le cellule dovrebbero duplicarsi.
“C’ero io, in quel punto e in quel momento, va bene?, e poi un fuori che m’appariva come un vuoto che avrei potuto occupare io in un altro momento o punto, in una serie d’altri punti o momenti, insomma una potenziale proiezione di me in cui io però non c’ero, e quindi un vuoto che era insomma il mondo e il futuro ma io ancora non lo sapevo, vuoto perché la percezione m’era ancora negata e come immaginazione ero ancora più indietro e come categorie mentali ero un disastro, però avevo questa contentezza che al di fuori di me ci fosse questo vuoto che non era me, che magari avrebbe potuto essere me perché me era l’unica parola che conoscevo, l’unica parola che avrei saputo declinare, un vuoto che avrebbe potuto essere me però in quel momento non lo era e in fondo non lo sarebbe mai stato, era la scoperta di qualcos’altro che non era ancora qualcosa ma comunque non era me, o meglio non era me in quel momento e in quel punto e quindi era altro, e questa scoperta mi dava un entusiasmo esilarante, no, straziante, uno strazio vertiginoso, la vertigine d’un vuoto che era tutto il possibile, tutto l’altrove l’altravolta l’altrimenti possibile, il complemento di quel tutto che era per me il tutto, ed ecco che traboccavo d’amore per questo altrove”
Ecco la mia “dima”, il riferimento che cercavo, la più bella definizione di curiosità: “la contentezza che al di fuori di me ci fosse questo vuoto che non era me”. Siete d’accordo? Non è esattamente questo la curiosità? Non è “traboccare d’amore per questo altrove”?
Ho scomodato Calvino, perchè mi permette di vedere che la curiosità è profondamente radicata nella nostra biologia, anzi in tutte le biologie, almeno quelle pluricellulari. La curiosità è dentro di noi fin dai mattoni elementari che costituiscono la nostra vita, la nostra stessa esistenza, tutti i nostri organi e i nostri tessuti. Noi siamo la somma di elementi curiosi, siamo uno sciame di elementi curiosi, una colonia di elementi curiosi.
La curiosità dunque è parte della natura e da lì poi si riflette e si amplifica nella cultura, in quel mondo artificiale e gigantesco che ha invitato Homo sapiens. Quello fatto di discipline, libri, racconti, esperimenti, strumenti, invenzioni. Anche in questo mondo artificiale e così affascinante, la curiosità è traboccare d’amore per l’altrove, per il nuovo, per il non conosciuto.
Credo sia importante pensare alla curiosità come a qualcosa che arriva dalla natura e che è dentro di noi, in modo così fondativo, perchè questo ci potrebbe aiutare a capire che noi siamo naturalmente curiosi, che non dobbiamo imparare a esserlo ma piuttosto a restarlo, a farlo uscire, sgorgare ed emergere dalle nostre cellule, dai nostri tessuti, dai nostri organi, di senso, di movimento e di pensiero.
Non ci serve qualcuno che ci dica “siate curiosi” o “esplorate”, ma piuttosto qualcuno che non soffochi quell’istinto naturale che da sempre e per sempre ci spinge spontaneamente verso l’altrove.
Se proprio servisse un maestro o una maestra, servirebbe qualcuno che ci aiutasse a tradurre quell’istinto naturale in un istinto culturale, che ci facesse capire quanto quella tensione sia personale e unica, come la nostra iride o la nostra impronta digitale, qualcosa che solo noi possiamo agire.
Ci dovrebbe insegnare che quell’unicità è da rispettare come tale, che la direzione verso l’altrove non si può insegnare, ogni persona ha un’altrove diverso e, anche se fosse uguale a quello di altri, sarebbe diversa la traiettoria per raggiungerlo. Ecco perchè la curiosità è difficile da insegnare. Ecco perchè ogni tanto gli errori, che ogni biodiversità prevede, possono emergere e anche questi vanno accettati.
Insomma la curiosità non si insegna, non si giudica, si deve tenere accesa, far scoprire, rispettare e proteggere…
Ecco come si ripara questa parola, augurandovi di incontrare questi maestri e queste maestre o di essere uno o una di loro, per continuare a “traboccare d’amore per l’altrove”.
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