Linguaggio: uno strumento di democrazia e giustizia sociale 20 Settembre 2024
Parole e testi inclusivi e accessibili possono influenzare la vita delle persone e cambiare il nostro modo di pensare. Il linguaggio è uno strumento per abbattere le barriere e costruire una società più equa. Parliamo di questo al DiParola Festival, il primo evento in Italia dedicato alla comunicazione chiara e alla semplificazione del linguaggio.
editoriale per Piano C a cura di Elena Panciera – consulente di comunicazione inclusiva e accessibile, fa parte del comitato scientifico di DiParola Festival
Le parole sono una delle mie passioni più intense e durature. Lettrice vorace, esploratrice loquace. Ma fino a qualche anno fa mi sembravano poca cosa rispetto alla medicina, all’ingegneria, alla matematica, all’informatica, all’economia. Ogni altra disciplina mi sembrava più importante rispetto a quelle legate alla scrittura – comunicazione, traduzione, scrittura…
In effetti, la società in cui viviamo tende a non valorizzare i mestieri che hanno a che fare con le parole. Forse perché sono percepite come qualcosa di facile: chiunque parla e scrive, no? Forse perché sono considerate un mezzo, e non un fine.
Ma una decina di anni fa ho avuto un’illuminazione. Stavo scrivendo l’ennesimo progetto di formazione, circondata di project manager concentrati (maschile intenzionale) su budget e Gantt. E mi sono accorta che se alla fine ottenevamo clienti e finanziamenti era anche merito mio, che scrivevo concretamente il progetto. Loro ci mettevano i numeri e i dati, io ci stavo mettendo le parole. Che valevano almeno tanto quanto le loro cifre.
In quell’occasione ho realizzato che le parole sono un mezzo potente: “possono”, “hanno potere”, recuperando l’etimologia latina. Hanno il potere di cambiare la realtà:
- Fanno accadere cose letteralmente: pensiamo al “sì” durante i matrimoni, che ha il potere di suggellare l’unione tra due persone. O ai “colpevole” e “innocente” pronunciati da giudici in tribunale, che hanno il potere di decidere il futuro di una persona accusata di un crimine.
- Fanno accadere cose non letteralmente, ma comunque concretamente: aiutando a cambiare il pensiero; mettendo in evidenza ingiustizie sociali; comunicando con tutte le persone, quali che siano le loro caratteristiche identitarie (prima lingua, neurodivergenze, disabilità, eccetera).
Al DiParola Festival parliamo proprio del potere del linguaggio, insieme a 15 speaker che usano le parole in tanti modi diversi. Saranno due giornate di incontri gratuiti e workshop per parlare di sicurezza, medicina, diritto e normativa, giornalismo e informazione, scienza, mondo del lavoro, scuola e arte in modo semplice e chiaro. L’appuntamento è giovedì 3 e venerdì 4 ottobre 2024, online oppure nel Teatro dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila.
Leggi il programma del DiParola Festival
Partiamo dalle basi: codice, linguaggio, lingua
Da appassionata di parole, ho studiato linguistica e storia della lingua italiana. Quindi partirei da qui per dare alcune definizioni utili a capire di cosa parliamo quando parliamo di “linguaggio”.
Gli esseri umani comunicano tra loro. Per farlo usano codici, ovvero sistemi convenzionali di segni. Un segno è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro: icone, emoticon, segnali stradali… e anche parole.
Le lingue sono codici (molto complessi), e le parole sono i segni di cui sono composte. Il linguaggio è invece la capacità di usare un qualsiasi sistema di segni per comunicare.
Per comprendere meglio la differenza tra “lingua” e “linguaggio”, possiamo immaginare il linguaggio come un computer su cui possiamo installare la lingua, o le lingue, che desideriamo. Le lingue, in questo paragone, sono come programmi: scegliamo noi quali imparare (ovvero installare). Vale la pena ricordare che esistono lingue verbali, come l’italiano o l’inglese, ma anche le lingue dei segni, come la LIS, la lingua dei segni italiana, o l’ASL, l’American Sign Language (la lingua dei segni americana).
La parola “linguaggio”, però, ha anche altri significati. Viene usata comunemente anche per indicare il modo che una persona o un gruppo di persone ha di esprimersi. Per esempio, è questa l’accezione usata in espressioni come “linguaggio filosofico” o “linguaggio tecnico”. Oppure “linguaggio inclusivo” o “linguaggio accessibile”: forse non è la prima volta che le incontrate.
Linguaggio inclusivo: prevedere ogni persona
«Una cosa è certa: il linguaggio inclusivo non lascia indifferenti. Parlatene in giro, e vi accorgerete presto che chiunque sembra avere un’opinione al riguardo. Ogni tanto queste opinioni sono molto nette, quale che sia la posizione che esprimono, ogni tanto lo sono meno. Ogni tanto sono documentate, ogni tanto sono semplicemente basate su sentito dire e intuizioni», scrivono Pascal Gygax, Sandrine Zufferey e Ute Gabriel (traduzione di Carine Giuglaris, Lucia Majno e mia). È proprio vero: il cosiddetto “linguaggio inclusivo” polarizza molto, ma spesso chi non è del mestiere non ha ben chiaro a cosa ci riferiamo esattamente con questa espressione.
Amo la definizione di Alice Orrù: «i linguaggi inclusivi sono liberi da parole, toni o immagini che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone». Al plurale, sì: “linguaggi inclusivi”. Perché «quello che chiamiamo linguaggio inclusivo si riferisce a un universo molto più ampio. Proprio per questa sua pluralità, non sarebbe male abituarci a parlarne al plurale».
Quindi, il cosiddetto “linguaggio inclusivo” non è solamente il linguaggio di genere, o linguaggio non sessista. Ha una portata molto più ampia, e interessa ogni tipo di discriminazione: dal sessimo al razzismo, dall’abilismo all’ageismo.
Scegliere le parole più precise, corrette e rispettose di ogni persona e comunità diventa quindi una scelta etica. Attraverso le parole che usiamo possiamo decidere cosa mettere in luce, condividere la nostra visione del mondo, e quindi provare a influire sulla società per renderla più giusta e equa. Le parole ci aiutano a far sentire ogni persona prevista, a prescindere dalle sue caratteristiche identitarie.
Un esempio: la parola “femminicidio” è entrata nell’uso giornalistico all’inizio degli anni Duemila. Prima si parlava di “delitto d’onore” o, al massimo, di “omicidio”. La parola “femminicidio” serve a descrivere un fenomeno sistemico di oppressione delle donne. Oggi è entrata nell’uso comune. Eppure, a vent’anni di distanza, si fa ancora fatica a usarla.
Linguaggio accessibile: farsi comprendere da chiunque
Possiamo scegliere gli argomenti di cui parlare, il pubblico a cui e con cui parlare, ma anche il modo in cui usare le parole. L’accessibilità del linguaggio è strettamente connessa al modo in cui un testo viene scritto o un contenuto viene formulato.
«Per accessibilità intendo quando le persone non sono escluse dall’uso di qualcosa per il fatto di essere disabili. Accessibilità significa che le persone possono fare ciò di cui hanno bisogno impiegando una quantità di tempo e impegno simile a quella di chi non ha una disabilità. Significa che le persone hanno potere, possono essere indipendenti e non saranno frustrate da qualcosa che è mal progettato o implementato», spiega Alistair Duggin (traduzione mia). E quindi se un testo, scritto o orale, è accessibile, significa che può essere compreso da ogni persona, a prescindere da una sua eventuale disabilità, fisica o intellettiva.
L’accessibilità di un testo non è importante solo per le persone con disabilità. Un testo accessibile serve anche a chi ha imparato l’italiano come seconda o terza lingua, a persone con una bassa scolarizzazione, a persone neurodivergenti (per esempio dislessiche)…
Un testo, per essere accessibile, deve avere specifiche caratteristiche:
- Formali: dimensione del carattere, spaziatura, contrasto… La facilità con cui si distinguono e si leggono i caratteri e le parole si chiama “leggibilità grafica” (“legibility” in inglese).
- Contenutistiche: lessico, sintassi, struttura del testo. La facilità o la difficoltà di lettura di un testo si chiama “leggibilità” (“readability” in inglese).
Il grado di comprensione del significato di un testo da parte di chi legge o ascolta è detto “comprensibilità”. Coinvolge i processi cognitivi della persona.
Seguire le linee guida del “plain language”, o “linguaggio semplice”, aiuta a produrre testi con un’alta leggibilità. Testi comprensibili da un grande numero di persone, con caratteristiche e competenze linguistiche diverse.
E se un testo non si può scrivere in linguaggio semplice, o non si può semplificare? Esistono altri modi per renderlo accessibile: ci sono strumenti di facilitazione linguistica. Per esempio, glossari, domande guida, testi in formato audio, immagini e icone possono aiutare a comprendere testi che per i motivi più svariati devono essere “difficili”: magari perché sono tecnici, oppure perché sono coperti dal diritto d’autore. Di strumenti di facilitazione parleremo insieme durante il DiParola Festival, durante il mio workshop Testi intoccabili: costruire l’accessibilità mantenendo la precisione. Vi aspetto venerdì 4 ottobre alle 15.
Usare le parole per cambiare il mondo
Un tempo avrei detto che non salvo vite, con il mio lavoro di copywriter e consulente di comunicazione. Oggi non lo direi più con la stessa convinzione.
Lavorare con le parole, riflettere sui loro significati, interrogarsi sui modi migliori per raccontare una storia, comprendere perché è nato un neologismo, chiedere alle persone come preferiscono che si parli di loro: sono tutti modi per migliorare concretamente la vita delle persone. E forse, in alcuni casi, in cui l’oppressione sistemica ne compromette drasticamente la salute mentale, perfino di salvarle. Pensiamo alla persona trans* che sceglie quale nome e quali pronomi usare. Alla persona cieca o sorda che riesce ad accedere a un contenuto sanitario o burocratico, se è pensato anche per lei. Ma anche alla persona razzializzata la cui storia e identità vengono rispettate se si usano le parole corrette. Alla persona di età alta o neurodivergente che può comprendere un testo complesso se ne esiste una versione semplificata o facilitata.
Le parole hanno un impatto concreto e diretto sulla vita delle persone. E sono uno degli strumenti più orizzontali e democratici che abbiamo. Possiamo imparare a usarle con consapevolezza e rispetto. Dobbiamo farlo.
Insieme alla presidente dell’Associazione Linguaggi Chiari ETS e ideatrice del DiParola Festival Valentina Di Michele, al comitato scientifico di DiParola Festival e alle volontarie che stanno costruendo questo evento, vi aspetto per parlare di linguaggi inclusivi e accessibili giovedì 3 e venerdì 4 ottobre 2024, online oppure nel Teatro dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila.
Iscriviti al DiParola Festival
Consigli di lettura
- Luisa Carrada, Lavoro, dunque scrivo! Creare testi che funzionano per carta e schermi, Zanichelli, 2012.
- Valentina Di Michele, Andrea Fiacchi, Alice Orrù, Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile, Flaco, 2022.
- Vera Gheno, Le ragioni del dubbio. L’arte di usare le parole, Einaudi, 2021.
- Vera Gheno, Grammamanti. Immaginare futuri con le parole, Einaudi, 2024.
- Pascal Gygax, Sandrine Zufferey e Ute Gabriel, Le cerveau pense-t-il au masculin? Cerveau, langage et représentations sexistes [Il cervello pensa al maschile? Cervello, linguaggio e rappresentazioni sessiste], Le Robert, 2021.
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