Volano vocali 28 Giugno 2023
L'utilizzo dei femminili nei nomi di professione non è una questione solo di vocali. Anche questo aspetto conta per creare una realtà inclusiva e paritaria.
a cura di Fabiola Noris
A volte è necessario ripassare dal via.
Proprio quando credevamo di aver fatto un passo avanti sulla questione dell’utilizzo del femminile nei nomi di professioni, accade qualcosa che ci regala un momento di hype sull’argomento.
Come Ambra che durante il concerto del Primo maggio ha rivendicato il suo disagio a parlare solo di vocali. Ad esempio.
In realtà basterebbe davvero poco, probabilmente qualche ora di linguistica fatta bene durante la scuola primaria camuffata da educazione civica e, nel giro di un paio di generazioni nessuno si scandalizzerebbe al suono di architetta.
Le regole della lingua italiana infatti permettono tran-quil-la-men-te la desinenza femminile per le professioni.
E quindi? Usiamole.
E se le rimostranze più agguerrite dicono che è cacofonico – però dire cacofonico non gli pare brutto e lo dicono – la verità è che è tutta questione di abitudine. A forza di sentir pronunciare la parola architetta, non sembrerà più così strana, bizzarra o brutta.
No, non sono solo vocali
La questione dove sta?
Nel coraggio di pronunciare quelle parole, quelle vocali così pregne di significato, pronte a generare vivide immagini. No, non sono “solo vocali”. Raccontano il mondo in cui viviamo, ci dicono molto di noi e del nostro modo di pensare, costruiscono la nostra personalità, forgiano la nostra mente, contribuiscono a creare una nuova realtà paritaria, a scalfire, vocale dopo vocale, il famoso tetto di cristallo.
Perché, guarda caso, i nomi declinati al femminile che danno maggiormente fastidio e guai a chi li pronuncia, sono quelli che indicano ruoli di prestigio. No di certo netturbina, operaia, sarta, ma ministra, ingegnera, sindaca, avvocata.
Insomma, non dovremmo nemmeno utilizzare l’espressione rivendicare il diritto di usare il femminile, perché si tratta di apprendere le metacompetenze linguistiche.
Se tutti infatti possediamo le competenze linguistiche e le apprendiamo inconsciamente, sulle metacompetenze ci sarebbe da fare un corso accelerato. Solo una piena conoscenza dei meccanismi linguistici infatti, ci evita di cadere nella trappola delle resistenze accompagnate della critica più frequente: suona male.
Suona male solo ciò che contrasta con gli stereotipi culturali.
Ed è proprio quello che spiega magistralmente e con una semplicità disarmante, la professoressa Giuliana Giusti, docente di Studi linguistici e Culturali Comparati alla Ca’ Foscari di Venezia nel suo corso online Linguaggio, identità di genere e lingua italiana giunto alla nona edizione. 18 ore di corso.
Ed è gratis.
È vero, parlare di vocali è un disagio, ma lo è solo perché dovrebbe essere un fatto assodato, delle regole grammaticali esistenti che basterebbe mettere in atto. Ma fino a quando ce ne sarà bisogno continueremo a parlarne. Così come continueremo a parlare di gender gap, lavoro di cura non retribuito, stereotipi di genere, maternità, cuscinetti linguistici, senza tralasciare nulla.
Se c’è una crisi la mandiamo via
Perché i problemi tuoi sono problemi miei
Proprio come cantavi tu, Ambra, possiamo riuscirsi. Insieme.
Riflessioni sull’uso della lingua italiana
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